PER NON DIMENTICARE

A 46 anni dalla sua morte Lodi intitola una via a Sergio Ramelli

Questa mattina si è tenuta la cerimonia di intitolazione di una via di Lodi (compresa tra viale Piave e via Cavallotti) a Sergio Ramelli.

A 46 anni dalla sua morte Lodi intitola una via a Sergio Ramelli
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Questa mattina il sindaco di Lodi Sara Casanova ha partecipato alla cerimonia di intitolazione di una via di Lodi (compresa tra viale Piave e via Cavallotti) a Sergio Ramelli, studente lodigiano aggredito e ucciso 46 anni fa per scopi politici.

Il discorso del Sindaco

Illustri autorità,
care cittadine e cari cittadini,
buongiorno e benvenuti,
Le parole che abbiamo appena ascoltato spiegano il senso profondo della cerimonia che ci vede qui riuniti:
“In nome di una pacificazione nazionale che accomuni in un’unica pietà i morti di un periodo oscuro della nostra storia e come monito alle generazioni future affinché simili fatti non debbano più accadere”.
Sergio Ramelli proveniva da una famiglia lodigiana e, come tanti coetanei, viveva l’adolescenza diviso tra studio, passione per il calcio e impegno politico. Era attivista del Fronte della Gioventù ed esprimeva liberamente le proprie idee, anche tra i banchi dell’istituto tecnico Molinari di Milano, dove tuttavia divenne ben presto bersaglio di minacce e aggressioni, tali da costringerlo a proseguire l’anno scolastico in un istituto privato. Il 13 marzo 1975, mentre stava rientrando a casa, venne assalito da studenti appartenenti al gruppo extraparlamentare di  Avanguardia operaia , armati di  chiavi inglesi con cui lo colpirono ripetutamente al capo.

Morì il 29 aprile del ‘75, al Policlinico, dopo 47 giorni di agonia. Oggi riposa nel Cimitero Maggiore di Lodi. L’anniversario di questa tragica scomparsa, a 46 anni di distanza, ci porta a onorare la memoria di un ragazzo, prima perseguitato per aver manifestato e difeso le proprie posizioni, e infine barbaramente ucciso da avversari politici che neppure lo conoscevano.
In una lettera, inviata alla madre di Ramelli, dieci anni dopo quei tragici avvenimenti, cinque degli imputati nel processo per omicidio scrissero: “Non avevamo nulla di personale contro suo figlio, non lo avevamo conosciuto né visto; ma, come troppo spesso accadeva in quel periodo, il fatto di pensare in modi diversi, automaticamente diventava causa di violenza gratuita e ingiustificabile”.

Una violenza che proseguì anche dopo la morte di Sergio, con pesanti intimidazioni rivolte ai suoi familiari.
Vicende simili potrebbero essere raccontate dai genitori di tanti, troppi, ragazzi vittime dell’odio politico divampato in quegli anni in diverse parti d’Italia. Sergio era uno di loro, ma il suo efferato assassinio assume un valore emblematico, non solo per la sua giovane età, ma anche per la gravità delle vessazione subite da lui e dai suoi cari.
Questa pagina triste della nostra storia ci unisce nella ferma condanna degli atroci delitti del terrorismo politico che ha colpito tutti gli schieramenti. Una pagina vicinissima a noi, eppure difficile da comprendere per chiunque non abbia vissuto quella stagione e sperimentato quel clima cupo di rabbia e paura.
La testimonianza diventa allora un dovere che oggi, con questa intitolazione, voluta dal Consiglio comunale, ci porta a rivolgerci innanzitutto alle nuove generazioni, perché l’insegnamento di libertà di Sergio non vada disperso, ma diventi un simbolo in cui possano riconoscersi tutti coloro che rifiutano la violenza e che sono animati dal desiderio di costruire un futuro migliore.

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